Il cinema in tasca: il mercato digitale on demand
E tu, vedi più film al cinema o in streaming sdraiatə comodamente sul divano di casa tua? Nessun giudizio qui, sia chiaro. Io stessa mi ritrovo più spesso a guardare un film dallo schermo del mio laptop, ahimè. Mentre ci pensi un po’ su, continuiamo il discorso sulla distribuzione, ma stavolta focalizziamoci sul mercato on-demand.
Fino agli anni Cinquanta, i cinema erano l’unico luogo in cui fosse possibile vedere un film e dunque anche l’unico mercato in cui questi potevano generare ricavi. Successivamente, l’avvento della televisione, la comparsa dell’home video, dei canali televisivi a pagamento e dei servizi on demand hanno dato vita a mercati aggiuntivi nei quali i film vengono commercializzati dopo il passaggio in sala. Alcuni di questi mercati hanno anche acquisito una rilevanza economica maggiore rispetto alla sala. Inoltre, le tempistiche di commercializzazione nei vari mercati hanno portato ad un progressivo avvicinamento (e talvolta allineamento) dell’uscita al cinema con le finestre successive. Addirittura, delle volte non c’è proprio il passaggio in sala! L’impatto di internet ha così investito i media audiovisivi e ha messo in discussione i modelli produttivi, distributivi e di consumo tradizionali. Nel giro di pochi anni, è emersa una cultura cinematografica nuova e differente, globale e diffusa.
In questo scenario, il sistema distributivo è stato messo sotto pressione. Da un lato le piattaforme, i canali e quindi le finestre distributive disponibili si sono moltiplicati; dall’altro, si è rilevata una forte contrazione dei tempi, volto a rendere più veloci i salti da una finestra alla successiva e minori le pause in cui il prodotto non è presente1. Tale processo è stato alimentato, tra l’altro, dall’avvento di attori online come Netflix e Amazon Prime Video.
Il sistema tradizionale delle finestre distributive, che per lungo tempo ha garantito la massimizzazione del valore economico dei contenuti creando un regime di scarsità in cui il singolo prodotto risultava via via disponibile tramite un unico canale e su specifici territori, oggi si è incrinato. O meglio, il sistema si è adattato nel tempo alle innovazioni tecnologiche, integrandole in qualità di nuovi canali di sfruttamento. Tuttavia, questa adattabilità è stata messa a dura prova con il dispiegarsi di una cultura dell’abbondanza e dell’immediatezza che Chuck Tyron ha ben sintetizzato nell’espressione “on-demand culture ”, una predisposizione collettiva in grado non solo di soddisfare al meglio i desideri specifici dei singoli utenti, ma anche di consentire loro un accesso a titoli in catalogo sempre più svincolato da costrizioni spazio-temporali. La cultura on demand viene infatti identificata con la formula di accesso “anytime and anywhere ” (letteralmente, in ogni momento e luogo), che mal si accorda a regimi di scarsità indotta come quello delle finestre distributive tradizionali.
In questo senso, Netflix, e più in generale i servizi di streaming on demand, costituiscono una risposta percepita come adeguata (quantomeno per i consumatori) proprio a queste nuove abitudini di consumo. Sebbene l’on demand culture di cui parla il buon e caro Chuck è ormai al centro dei nostri consumi audiovisivi, è però importante sottolineare che quest’ultima non sostituisce le modalità classiche di consumo, bensì le affianca, costringendo tutto il sistema a ridistribuire i pesi e a ripensarsi. Dunque, se è vero che “la distribuzione determina i modi in cui i testi vengono fruiti e interpretati dai pubblici”2, è altrettanto vero che gli schermi si sono moltiplicati, che sono divenuti tanti quanti i dispositivi che quotidianamente utilizziamo, e che forse non è più l’uscita in sala a rappresentare il canale primario rispetto al quale tutti gli altri si definiscono per differenza, con tutte le conseguenze che ne derivano3.
È chiaro che la comparsa dei servizi on demand determina l’affermazione di nuove modalità di consumo dei contenuti audiovisivi, apre un nuovo mercato di sfruttamento economico per i film e altera una serie di dinamiche dell’industria cinematografica ormai consolidate.
I cambiamenti descritti mettono radicalmente in discussione le basi della distribuzione “classica”. Da una parte, i distributori tradizionali vengono affiancati da nuovi soggetti, attivi prevalentemente nel mercato digitale. È vero che operano su mercati differenti (i primi sul versante delle sale, i secondi sul canale on demand), tuttavia le due finestre sono sempre più ravvicinate. I nuovi intermediari, infatti, mirano ad accorciare i tempi che separano il debutto in sala dall’uscita nei mercati digitali o a giungere ad una uscita in contemporanea (day and date). È il caso di Sulla mia pelle, film del 2018 diretto da Alessio Cremonini, e di Beasts of No Nation, film del 2015 scritto e diretto da Cary Fukunaga.
Questi nuovi modelli più accelerati, tali per cui le pellicole passano rapidamente dalle sale cinematografiche (sempre che escano sul grande schermo) agli archivi di video disponibili per lo streaming mettono in luce una mutata percezione del valore del testo filmico. La velocità con cui i film passano da uno schermo all’altro, infatti, fa sì che gli spettatori che non sono disposti a pagare un prezzo alto per vedere un film al cinema, aspettino solo pochi mesi per vedere lo stesso titolo in streaming. La permanente disponibilità online riduce così l’urgenza di vedere un film sul grande schermo, oltre ad alterare il valore del testo filmico stesso.
Tutto ciò, modifica anche le modalità di consumo dei contenuti audiovisivi. Noi consumatori, infatti, abbiamo la capacità di costruirci ambienti altamente personalizzati, consumando film, e in generale prodotti mediali, sulla base dei nostri gusti e interessi.
Quanto al documentario, nell’articolo precedente ci siamo detti che molti prodotti assimilabili al documentario distribuiti sul piccolo schermo sono prodotti seriali. Nel momento in cui il documentario entra nella dinamica fiction, però, va ad aderire ad un meccanismo che non è stato costruito per la distribuzione di un genere così di nicchia. Inoltre, fatica ad emergere una piattaforma dedicata interamente al documentario, come lo è MUBI per il cinema cult e i film d’autore.
La situazione è un po’ diversa per gli spazi di palinsesto dedicati al documentario. Sebbene siano sempre meno, esistono dei canali tematici ad hoc, come House of Docs, il primo canale di Nexo TV completamente gratuito e dedicato ai documentari di storia, arte, cultura, musica e biografie. Tuttavia, per la maggior parte dei casi si tratta di reti generaliste, come Rai 1 e Rai 3, che non creano una educazione alla visione del documentario.
Ma siamo sicurə che la sala abbia perso la sua importanza strategica? Di questo, però, ne parleremo nel prossimo articolo.
Stay tuned!
1. L. Bara e M. Perrotta, Il Cinema italiano all’estero nelle finestre secondarie. Televisione, piattaforme digitali e convergenza, in M. Scaglioni (a cura di), Cinema made in Italy. La circolazione internazionale dell’audiovisivo italiano.
2. R. Lobato, Shadow Economies of Cinema, BFI-Palgrave Macmillan, London 2012, p. 15.
3. V. Re, See What’s Next. Continuità, rotture e prospettive nella distribuzione online, in Valentina Re (a cura di), Streaming Media, Distribuzione, circolazione, accesso, cit., p. 5-6.
Mi chiamo Emanuela Torregrossa, sono nata e cresciuta a Palermo e poi trasferita a Bologna per studiare Informazione, Culture e Organizzazione dei Media, un corso di laurea magistrale che verte sugli studi della comunicazione audiovisiva e multimediale. La mia aspirazione più grande è di lavorare nel settore della distribuzione e promozione cinematografica. Lungo il percorso di realizzazione di questo sogno, mi dedico alla scrittura di articoli e cerco di assorbire tutte le curiosità, le conoscenze e i saperi che le persone possono e vogliono offrirmi. Se è vero che se son rose fioriranno, io intanto comincio a seminare, il resto si vedrà!