Quattro appuntamenti per conoscermi

Una storia di insicurezze e app di incontri

A partire dal 17 di novembre, per due settimane, vi presenteremo quattro brevi racconti – in uscita rispettivamente il martedì e il giovedì – tratti dalla raccolta Istantanee – Snapshots, redatti da Alessia Marinoni e disponibili sia in versione originale italiana che in versione tradotta in inglese.

Lunedì, 08:27

Mi sveglio di soprassalto. Mi giro a guardare l’orologio che segna quasi le otto e mezza. L’istinto mi dice di muovermi se non voglio fare tardi al lavoro. Mentre mi chiedo perché la sveglia di questo maledetto telefono non funzioni mai, realizzo che in effetti oggi non doveva funzionare. 

Mi fa male la testa. Forse ho dormito troppo. O troppo poco, chi lo sa. Sono giorni che le mie attività non tengono conto del normale ciclo notte-giorno e il mio ritmo circadiano sta iniziando a risentirne.  

Mi alzo dal letto e sistemo i vestiti della sera prima che erano ancora accatastati sulla sedia. Tenere la casa in ordine mi dà un senso di sicurezza, come se fosse quella camicia spiegazzata la causa dei miei pensieri ricorrenti. Mi faccio un caffè e noto che i pochi passanti che riesco ad intravedere dalla finestra della cucina portano tutti un ombrello ed il cappotto pesante e la cosa mi fa sorridere. Io ho addosso solo una vecchia maglietta ma non sento freddo, sono abituato a temperature ben più rigide.  

Finito il caffè (e lavata la tazzina) mi assale un pensiero che ormai da tempo cerco in tutti i modi di scacciare: cosa faccio oggi? Improvvisamente la pioggia diventa un deterrente e di uscire di casa non se ne parla. Se ci fosse stato il sole sarei andato al parco. Forse. O forse no, non mi piace uscire quando il sole è accecante. O se tira vento. E poi le nuvole mi mettono tristezza. Quindi meglio stare in casa. 

Sì, ma quindi come ci arrivo a sera? Prendo in mano il telefono e ci trovo un messaggio di mio fratello che mi ricorda di passare a casa di mamma per sistemarle una lampadina che lei si rifiuta di cambiare. Mi mamma abita dal lato opposto della strada quindi se cammino veloce posso raggiungerla evitando di incappare in sguardi conosciuti. 

Oltre al messaggio di mio fratello trovo anche una notifica di un’app di incontri, di quelle che usavo tempo fa. È Giulia. Giulia? Ah sì, ora mi ricordo. È la ragazza con la quale ho iniziato a parlare ieri sera. O meglio, è la ragazza con la quale mio fratello ed i suoi amici hanno iniziato a parlare ieri sera tramite il mio vecchio profilo. Simone, mio fratello, ha insistito perché riattivassi il vecchio profilo che usavo tempo fa. Dice che conoscere gente nuova potrebbe farmi solo bene. E poi ho ventisei anni, sono ancora in tempo per divertirmi un po’. 

Apro l’applicazione e il mio profilo in primo piano mi mette in imbarazzo. Le tre foto che ho caricato non mi somigliano più e le due righe che ho scritto su di me mi danno l’idea di una persona terribilmente banale. Penso a qualcosa da aggiungere ma tutte le parole che mi vengono in mente sono troppo pretenziose oppure troppo scontate. Quindi cancello tutto e torno alla chat. Anzi, alle chat. Sono cinque.

-Una per ogni giorno della settimana, da oggi fino a venerdì. Tanto non hai impegni, no?

È la voce scherzosa di mio fratello che cerca di convincermi che sia una buona idea buttarmi in un mare di squali con un braccio sanguinante. E allora perché lo sto assecondando? Forse solo per dire a me stesso che finalmente la mia settimana avrà uno scopo. O forse perché in fondo spero di conoscere qualcuno che mi possa capire. Di certo non cerco una relazione però, sarei uno stupido se ci cascassi. O no? 

Penso a cosa rispondere a Giulia che mi chiede quali siano le mie canzoni preferite. Ieri sera le hanno detto che sono un musicista. Certo, il classico stereotipo dell’artista nullafacente e depresso potrebbe fare colpo. Peccato che io sappia solo strimpellare qualche accordo del giro di do alla chitarra (e con non poca fatica). Resto sul vago, le dico che mi piace la musica jazz per darmi un tono ma prego lo spirito di John Coltrane che non sia un’appassionata del genere. Per interrompere questa terribile catena di possibili fraintendimenti, le chiedo di uscire. Stasera. Coraggioso da parte mia. Forse il vecchio me sta prendendo il sopravvento. 

Non molto tempo fa, quando ancora abitavo a Manchester, non mi facevo problemi a fare il primo passo se mi andava di passare una serata in compagnia. 

Un’altra notifica di Giulia: stasera, in effetti, sarebbe libera. Potremmo bere qualcosa in centro? 

-Sì, certo che potremmo, – le rispondo. Ci accordiamo su un orario e un luogo e improvvisamente torna la paura. Forse non sono pronto per vedere qualcuno. Penserà che le ho mentito, che non sono la persona che si aspettava di trovare. E poi da quanto tempo non vado in centro? Da quanto tempo non guido? Per fortuna che è solo lunedì e magari non ci sarà troppa gente in centro. E poi posso sempre disdire all’ultimo, dirle che ho la febbre oppure un impegno improvviso. Meglio che vada a sistemare la lampadina di mia madre. 

21:00

Manca solo un’ora all’appuntamento e ancora non mi sono deciso a disdirlo. Forse ora è troppo tardi per tirarsi indietro, Giulia si arrabbierebbe e avrebbe ragione. Più per senso di colpa che altro mi trascino in bagno, mi faccio una doccia e mi guardo allo specchio. Sotto alla barba mi sembra di vedere ancora il ragazzo delle vecchie foto. Non mi va di radermi e poi adesso la barba incolta è di moda, magari Giulia crede davvero alla storia dell’artista tormentato. 

Mi vesto ed esco. Appena metto piede fuori dalla porta torna il nodo in gola. Cerco di deglutire per scioglierlo ma non vuole sapere di andarsene. Salgo in macchina e parto. Ad ogni semaforo divento sempre più impaziente di arrivare a destinazione. Devo reprimere l’istinto che mi dice di fare inversione e tornare a casa. Alla radio c’è una canzone jazz che non conosco. O forse è blues, so solo che sento il suono di un sassofono. Ecco quanto ne so di musica. 

Spengo la radio per non farmi prendere dal panico. Parcheggio e scendo dalla macchina. Sono quasi di fronte al bar al quale avevamo appuntamento quando sento il telefono vibrare nella tasca dei jeans. È Giulia, è già qui. Mi sembra di vederla in lontananza e mi avvicino un po’ ingobbito sotto il peso del suo sguardo. Le sorrido sperando di non sbagliare persona. Anche lei mi sorride. Non so come mi abbia riconosciuto così in fretta quando io stesso, guardando quelle vecchie foto, non mi riconosco. Ma non ho il tempo di farmi domande: in un attimo ci siamo presentati e siamo davanti al bancone ad ordinare. Io prendo una Coca e lei un bicchiere di rosso. Forse avrei dovuto seguirla, così penserà che sono uno sfigato. Devo pensare in fretta ad una scusa.

-Sai, domani inizio a lavorare presto.

Bugia. Mi chiede che cosa ho studiato e da lì iniziano le varie domande di rito. Quanti anni hai? Che cosa studi? Quali sono i tuoi hobby? E il tuo film preferito? La conversazione scorre leggera. Forse fin troppo leggera. Di lei scopro che ha qualche anno in meno di me, è al terzo anno di infermieristica, è abbastanza in pari con gli esami e pensa di laurearsi presto. Nel tempo libero gioca a tennis e dice che le piace viaggiare. Strano che lo dica, mi domando a chi non piaccia. Ultimamente è stata a Barcellona con le sue amiche e ha pensato che la vista dalla terrazza di Parco Güell fosse mozzafiato. Parla molto e la cosa mi rassicura perché mi toglie dall’imbarazzo di dover inventare bugie sul mio contro per non essere costretto a riassumere la mia vita negli ultimi mesi con solo due o tre frasi. Di me le racconto poco: le parlo della mia vita all’estero, della mia laurea in economia, dei viaggi che ho fatto per lavoro. Le racconto della persona che ero e, nonostante non si tratti di bugie vere e proprie, mi sento in colpa perché nascondendole il mio abisso, sto facendo finta di essere una persona che non sono. 

Mi sforzo di seguire la sua scia di leggerezza e, sorprendentemente, ci riesco bene. Lei sembra a suo agio anche se ho il sospetto che il suo interesse principale sia quello di parlarmi il più possibile di sé e sorridere constatando che la sto ascoltando. Il tempo passa in fretta e, verso mezzanotte, trovo la scusa per tornare a casa, tirando in ballo di nuovo la sveglia presto. Lei non sembra sorpresa. Ho l’impressione che tutto ciò che dico le scivoli addosso. Fuori dal locale, entrambi concordiamo sull’aver passato una serata piacevole ma non accenniamo a nessun prossimo appuntamento. Per galanteria la accompagno alla sua macchina e dopo un ultimo saluto amichevole scappo verso la mia, sicuro di trovarci uno spazio più accogliente rispetto a quello del bar. Mentre guido, mi rendo conto che nessuno di noi due ha avuto il coraggio di dire assolutamente nulla di rilevante sul proprio conto ma tutto ciò passa in secondo piano quando mi rendo conto che i discorsi di Giulia sono stati in grado di distrarmi dai miei pensieri e distogliermi da quella routine opprimente che io stesso mi sono creato. Forse mio fratello ha ragione: un po’ di leggerezza non può che farmi del bene. 

Martedì, 10:15

Mi sveglio ancora stanco. Mi preparo il solito caffè e do un’occhiata alle notizie in tv. Mi ha sempre messo una certa tristezza guardare il telegiornale: tutte quelle notizie terribili non facevano che aumentare la mia voglia di restare in casa. Non oggi, però. Oggi le parole negative che escono dalla bocca della giornalista sembrano non toccarmi. Mi sembra che la mia vita abbia preso una svolta migliore. Stamattina mi faccio la barba, sicuramente la prossima ragazza apprezzerà. 

Apro l’app e di Giulia non c’è più traccia. Forse la serata non è stata poi così piacevole ma meglio così. Tanto che avrei potuto dirle? “Scusa ma per questa settimana la mia agenda è piena di ragazze da incontrare”? Forse mi avrebbe preso per un pazzo o, peggio, per uno che non ha niente di meglio da fare che importunare le ragazze in chat. 

Penso che è il caso di organizzare qualche altra uscita, non tutte si sarebbero rese disponibili per la sera stessa. Parlo con qualche ragazza cercando di sembrare interessato alla conversazione ma la verità è che, preso dalla mia euforia, sto solo cercando di capire chi potrebbe essere disponibile per un’uscita. C’è una ragazza, in particolare, che mi colpisce. Dalle foto sembra avere un viso simpatico e mentre parliamo scopro che è un’appassionata di cinema. Anch’io mi ritengo un appassionato ma la mia sicurezza vacilla quando, citandomi i suoi registi preferiti, non c’è nemmeno un nome che mi suoni familiare. Le chiedo se ha del tempo libero per un caffè. Lei all’inizio è esitante, dice che oggi ha lezione. Poi però accenna a qualche ora buca e allora le propongo di vederci non lontano dall’università e lei accetta. Lascio scegliere a lei il posto dicendole che non conosco la zona universitaria. Così mi gioco subito la carta dello studente appena rientrato dall’estero. 

Nel frattempo, cerco di organizzare qualche altro appuntamento per i giorni seguenti. Parlo con Amy. Mi intriga il suo nome straniero e, in effetti, dopo un vago “ciao” iniziale, la conversazione continua in inglese. Lei sembra sorpresa che io lo parli così bene e, senza troppi sforzi da parte mia, mi chiede di incontrarci l’indomani sera. Ovviamente accetto subito, il che sembra divertirla. Forse dovrei fare più il sostenuto ma non ho tempo per questi giochetti. 

Mentre sto cercando le parole giuste per fare colpo sulla prossima ragazza, distolgo per un attimo lo sguardo dal telefono e lo poso sulla mia fedele sveglia di fianco al letto: segna già le due e ancora lo stomaco non si fa sentire. Tutta quest’aria di rivoluzione mi ha tolto la fame.

Mi butto in doccia, presto ho appuntamento con…come si chiamava? Beh, la ragazza del caffè. 

15:26

Man mano che si avvicina il momento di uscire mi sento sempre meno sicuro. Come ho fatto a dimenticare tutti i problemi che mi tengono inchiodato a questa casa? E perché stamattina non ho dato peso al rifiuto di Giulia? Sì, forse non era la persona giusta per me ma se nemmeno lei mi ha voluto, senza che le mostrassi la persona che sono davvero, allora chi altri potrebbe volermi? Forse dovrei continuare a fingere, non sono pronto a mostrarmi del tutto. Ma se non lo faccio mi sento un vigliacco. 

È quasi ora di uscire. Avevo pensato di prendere i mezzi, in fondo si tratterebbe solo di qualche fermata di autobus. Ma ora l’idea di starmene schiacciato all’interno di una scatola di metallo su ruote piena di gente mi fa rabbrividire. Forse è meglio prendere la macchina per evitare di arrivare al bar già sudato e col cuore in gola. Prendo la macchina e noto con piacere che a quest’ora il traffico è abbastanza scorrevole. Certo, è troppo tardi per andare al lavoro e troppo presto per tornare a casa. Pensare al lavoro mi getta in un vertice di pensieri negativi che cerco di spegnere accendendo la radio. C’è una canzone dei Florence and The Machine. Non la mia preferita ma almeno questa volta non è jazz. In un attimo arrivo nella zona del nostro incontro e, sorprendentemente, trovo subito parcheggio. Mi faccio guidare dal telefono per arrivare al bar scelto dalla ragazza. Cammino tranquillamente, tanto è ancora presto e di sicuro lei non sarà ancora arrivata. Mancano pochi metri, svolto l’angolo e vedo una figura china sopra un libro che sembra enorme, seduta ad un tavolino di ferro battuto nella parte esterna del bar. Più mi avvicino e più mi sembra una faccia conosciuta. È già qui? Ma perché non riesco ad avere il privilegio di arrivare per primo? Almeno non mi sta guardando. Se non si accorge del mio arrivo forse dovrò chiamarla per nome. Aspetta, come si chiamava? Alice? O era Claudia? Non ho il tempo di controllare oramai. Si gira verso di me.

-Ehi ciao, sei in anticipo! – Sembra piacevolmente sorpresa. -Riesco sempre ad arrivare per prima e oramai sono abituata ad aspettare. Comunque, piacere, Lucrezia, – È andata più liscia del previsto. Per fortuna. 

Prendiamo un caffè e mi dice che purtroppo non può fermarsi molto perché a breve comincerà una lezione che deve seguire. Studia lettere moderne e l’affascina tutto ciò che riguarda la letteratura e l’editoria. Sembra una tipa interessante. Le spiego che il mio percorso di studi mi ha portato lontano dalle materie umanistiche per diverso tempo e lei sembra un po’ contrariata. Inizia ad elencarmi autori che non conosco, mi parla di loro, mi chiede se ho letto qualcuno dei loro libri. Io continuo a scuotere la testa e inizio a sentirmi un po’ come al liceo, quando la professoressa di latino mi chiedeva di coniugarle un verbo. Lei sembra non rendersi conto del mio imbarazzo e ho l’impressione che mi guardi sempre più di sbieco. La sua espressione mi mette in soggezione, e inizio a pensare ad una scusa plausibile per svignarmela. Per arginare il danno inizio a chiederle più cose su di lei, tipo che posti frequenta, se ha mai avuto animali domestici e via dicendo, per tastare il terreno. Lei mi risponde cordialmente ma nel suo tono c’è qualcosa che mi dice che le trova tutte domande estremamente banali ed irrilevanti. Provo a raccontarle di me anche se la sua sicurezza mi blocca le parole in gola e mi sembra che il mio imbarazzo sia ormai palese. Come era successo con Giulia, non riesco a mettermi in gioco più di tanto, anzi, in questo caso, quasi per nulla. E forse, a pensarci bene, non voglio farlo. Ho paura di un giudizio troppo severo. Forse sto esagerando, non dovrei farmi abbattere così da qualche domanda. In più la trovo davvero attraente e il fatto che sappia cose che io non so la rende ancora più interessante ai miei occhi. 

Mi chiede quale sia il mio film preferito di Monicelli. Non lo so, ne avrò visto uno in vita mia. Mentre balbetto una risposta cercando di ricordarne il nome, vedo che si guarda il polso. È tardi, dice. Deve tornare a lezione, le spiace interrompere la conversazione. Ne dubito ma mi spiace davvero che se ne stia andando. Mi sembra di essere riuscito a dirle ancora meno cose su di me di quante non ne avessi dette a Giulia. Mentre sono assorto nei miei pensieri arriva il barista con il conto. Pago senza pensarci e torno a casa. 

21:15

Sono steso sul letto da diverso tempo oramai. Non ho ancora fatto nulla da quando sono rientrato. Continuo a pensare ai mille modi in cui poteva andare meglio, e ai mille modi in cui è riuscita ad umiliarmi. Lo sapevo che non ero pronto per un’esperienza del genere. Non sono mai stato bravo a relazionarmi con gli altri, come potevo aspettarmi di essere in grado addirittura di fare colpo su qualcuno proprio ora, che non sono nemmeno in grado di interessare me stesso con tutti i miei problemi che tornano a tormentarmi ogni giorno. Da quando ho lasciato il lavoro mi sento sempre più inutile. Dico a me stesso che non è colpa mia ma non posso fare a meno di pensare che lo sia. Chi pensavo di essere? Ho lasciato un lavoro sicuro per uno stupido senso di colpa aggrappandomi al mio senso etico. Che mi aspettavo? Che mi avrebbero accolto tutti a braccia aperte pronti ad offrirmi un nuovo incarico con annessa medaglia al valore? E poi il ritorno a casa è stata una sconfitta. Io che sognavo una vita all’estero e ora mi sento rinchiuso in questa periferia che oramai non mi appartiene più. Non c’ un posto al quale riesca a pensare come una casa. L’Inghilterra è stata il teatro dei miei errori e l’Italia è tornata ad essere il mio luogo sicuro dal quale però non vorrei che fuggire. Non riesco più a fermare questi pensieri e ricado di nuovo nel solito vortice che mi spinge sempre più in basso. Mia madre dice che la mia è solo solitudine e allora perché non riesco mai a sentirmi apprezzato dagli altri anche quando sono circondato da persone. Ho la sensazione di non essere in grado di far provare amore agli altri nei miei confronti ma solo compassione. Come se questa maledetta ansia fosse un peso sociale dal quale non riuscirò mai ad affrancarmi. Perché di queste cose non se ne parla. Se potessi gridare agli altri quello che mi passa per la testa, nella migliore delle ipotesi mi sentirei rispondere che è solo un periodaccio, passerà. E nella peggiore? Forse mi crederebbero pazzo. E chi vuole averci a che fare con uno così?

Sono le dieci passate. Non ho ancora mangiato ma ho l’impressione che il mio stomaco non accetti cibo stasera. Metto su un film sperando di riuscire a distrarmi, a staccare per un po’ il cervello, almeno finché non mi addormenterò. Ma niente Monicelli per me stasera, non è ancora il momento di diventare una persona migliore.

Mercoledì, 7:45

Ancora una volta la sveglia non suona ma stamattina non ho dubbi: non ci sarà nessun datore di lavoro impaziente di vedermi entrare in ufficio. Non ho chiuso occhio per quasi tutta la notte quindi tanto vale alzarsi a fare colazione, lo stomaco inizia a brontolare. Mi preparo del pane tostato, accendo la tv (evitando accuratamente di incappare in qualche telegiornale) e inizio ad ascoltare uno chef stellato che cerca di spiegarmi come cucinare un perfetto filetto alla Wellington. Se potesse sentirmi gli direi che il mio migliore amico in cucina è il forno a microonde ma lui, tutto vestito di bianco, sembra non accettare commenti dai propri allievi, vuole solo dimostrare al pubblico la sua esperienza pluridecennale maneggiando con sapienza, e una cera supponenza, coltelli e pentole. 

Squilla il telefono: è mia madre che mi invita a pranzo da lei. Oggi, a mezzogiorno. Ci sarà anche mio fratello che, durante la pausa pranzo, farà un salto a trovarla. Non ho voglia di ascoltare le mille domande di mio fratello e, soprattutto, non ho voglia di parlare di questa situazione. Ma la mamma è sempre la mamma e poi non avrei nessuna scusa da accampare. Le dico che ci sarò e riagganciamo. 

Sullo schermo del mio telefono, che non prendo in mano da ieri pomeriggio, ci sono diversi messaggi, alcuni scritti in inglese e altri in italiano. Con un’occhiata fugace noto che alcuni messaggi sono di Lucrezia. Ci penso un po’ prima di rispondere e alla fine opto per quelli in inglese. Vorrei evitare di ripensare alla giornata di ieri e in più ho voglia di sentirmi un po’ lontano da casa anche se non ho il coraggio di schiodarmi da qui. 

È Amy, la ragazza straniera con la quale avevo organizzato un appuntamento per questa sera. Non ricordavo di averlo fatto e ora, leggendo i messaggi di ieri, mi gira un po’ la testa. Di tutta quella frenesia che mi aveva animato ora non c’è più traccia. Le rispondo scusandomi per essere sparito per una giornata intera dicendole che purtroppo avevo avuto un imprevisto. Da parte sua nessuna risposta. Forse è indaffarata. In ogni caso, non penso che uscirò stasera, quindi una risposta non farebbe la differenza. 

12:30

Esco di casa in perfetto orario per il pranzo anche se mi passa la fame all’idea dell’interrogatorio al quale mi sottoporrà mio fratello. 

Come l’altro giorno, uscendo di casa cerco di evitare il contatto visivo con gli altri passanti. Non mi va di parlare dei fatti miei a degli sconosciuti solo perché siamo vicini di casa. 

Sono di fronte a casa di mamma, che mi apre la porta e mi saluta con un abbraccio. Mio fratello non è ancora arrivato, forse c’è traffico in strada. Ci sediamo in cucina ad aspettarlo. Alla tele c’è un altro programma di cucina. Da quando sono diventati così popolari? Mentre parliamo, mamma mi spiega per filo e per segno come ha preparato le diverse portate che mangeremo più tardi, “Così sai cosa cucinare quando hai ospiti a casa”. Vorrei dirle che sono passati mesi dall’ultima volta che un ospite ha messo piede in casa mia ma lei, come lo chef stellato di stamattina, sembra non accettare obiezioni. 

Mentre parla io non posso che pensare al perché Amy non mi risponda. È vero, non mi va di uscire, ma vorrei essere io a declinare gentilmente l’invito. Solo che se non mi risponde non posso farlo. La mia autostima, già molto fragile, non sopporterebbe un altro rifiuto. Abbasso gli occhi per guardare il cellulare ma lo schermo non mi dice nulla di nuovo. Mentre alzo gli occhi mi rendo conto che mamma non sta più parlando e che mi guarda con aria preoccupata. Dice che sono sfuggente, che è preoccupata per me, che sa che non esco mai e che sto sempre in casa a tormentarmi. Mentre parla inizia a piangere e vederla così mi spezza il cuore. Le parole le escono dalla bocca come fiumi, sembra che le abbia trattenute per troppo tempo. Dice che le mancavo quando ero via ma le manco molto di più ora che sono qui vicino. Ha paura che io non stia facendo niente per rialzarmi, cerca di giustificare i miei errori dicendo che capita a tutti di sbagliare ma che bisogna cercare di rimediare. Poi sembra arrabbiata, parla di un lavoro, di una famiglia, di una vita stabile. Poi all’improvviso si ferma, si asciuga le lacrime e mi dice che devo fare qualcosa per uscire da questo circolo vizioso. È un ordine ma dal suo tono suona più come una supplica. Senza rendermene conto inizio a piangere anch’io, l’abbraccio e le prometto che lo farò. 

Il campanello suona e interrompe questa pietosa riunione familiare. È mio fratello che entra sorridendo ma sembra rendersi conto subito dell’atmosfera pesante che aleggia in casa. Forse è anche per questo che non fa domande e, anzi, evita di rivolgermi la parola per tutta la cena. Lo conosco troppo bene, so che è un pacifista e non vuole spezzare, con domande inopportune, il delicato equilibrio che si è venuto a creare fra noi tre. Ma so anche che vorrebbe chiedermi per l’ennesima volta perché mi comporto così. Lui è sempre stato il più spensierato fra i due, per lui i problemi sono solo delle sfide da superare e, nella maggior parte dei casi, ci riesce molto bene. Sembra che nulla lo possa abbattere o possa scalfire la sua positività. Certo, ha anche lui i suoi momenti no ma non si ferma a pensarci troppo. Una volta che sono passati fanno parte del futuro. È per questo che non ci siamo mai capiti ed è per questo che so che non è lui la persona giusta con la quale parlare dei miei sentimenti, prenderebbe tutto con troppa leggerezza. E poi, gli voglio troppo bene per appesantirlo con i miei problemi e lui me ne vuole troppo per rischiare di ferirmi con parole sbagliate. 

Il pranzo finisce in fretta, mio fratello deve tornare al lavoro. Dà un bacio sulla guancia a mamma e un abbraccio a me. Lo accompagno alla porta, e mentre siamo soli mi ricorda il nostro patto sorridendo. È solo un modo per distrarmi, lo so. Il suo commento mi ricorda di Amy. In questo vortice di emozioni l’avevo dimenticata. Controllo il telefono e…mi ha risposto! Aiuto mamma a sistemare i piatti e corro a casa. Nel tragitto leggo il messaggio di Amy che si scusa a sua volta per aver risposto dopo ore ma, dice, si è svegliata solo adesso. Ieri sera (o meglio, stamattina) è tornata a casa molto tardi, era ubriaca e ha dormito come un sasso. Di certo le piace divertirsi. 

Sono ancora combattuto. Fino a qualche ora fa ero convinto di lasciare perdere questa storia degli appuntamenti. Ma poi il pianto di mia madre e lo sguardo di mio fratello. In fondo la prima sera non era andata così male, ero riuscito a distrarmi. Forse dovrei prenderla come una sorta di terapia, qualcosa che mi serva ad uscire dalla mia comfort zone, che mi metta alla prova. È una sfida contro me stesso ma forse non è così sicuro che sia persa in partenza. Faccio un respiro profondo e le chiedo una conferma per l’incontro di questa sera. Dopo pochi minuti, lei risponde che ci sarà. Ci diamo appuntamento di fronte ad un’enoteca piuttosto frequentata del centro. La propone lei, dice che l’ha vista un paio di sere fa, passandoci davanti e le sembrava un posto da provare assolutamente mentre è qui in Italia. Si sa, il vino dà un’aria bohémien a chi ne tiene in mano un calice, il che piace tanto agli stranieri. E quale posto migliore di un’enoteca per fare un’esperienza della movida italiana a trecentosessanta gradi? Accetto. Sarà un’altra sfida per me presentarmi in un posto così affollato. Ma ho bisogno di dimostrarmi che posso farcela. 

Noto anche il messaggio di un’altra ragazza, Cecilia. Stiamo parlando da diversi giorni oramai, era una delle ragazze contattate da mio fratello e dai suoi amici la sera in cui è iniziato questo “esperimento”. Ieri sera, in un momento di sconforto, le avevo confessato che questo periodo mi stava mettendo davvero alla prova per diverse ragioni. Leggendo la sua risposta ora, lei sembra capirmi. Mi dice che i “brutti momenti” sono più comuni di quanto si pensi e che non c’è ragione di vergognarsene. Cose che ho già sentito, sì. Ma allora perché mi suonano così nuove? Così vere?In questi giorni, preso da mille emozioni, non ho dato realmente spazio a nessuna persona in particolare. Mi rendo conto solo ora di non aver pensato nello specifico a nessuna delle ragazze che ho contattato. Ho pensato più che altro a me stesso, a come mi sentivo mentre ero con loro. Non so per quale motivo ma con lei mi trovo a mio agio mentre parliamo. Mi piace. anche se passano diverse ora fra una sua risposta e l’altra, mi sembra che le sue parole lascino trasparire della dolcezza. Forse è solo un mio meccanismo di difesa che fa in modo che scambi la sua gentilezza per comprensione ma c’è qualcosa di lei che mi sfugge e, per la prima volta, avrei davvero voglia di mettermi in gioco. Le avevo già chiesto un appuntamento per martedì ma lei aveva rifiutato per via di altri impegni non meglio specificati e io avevo buttato tutto nel dimenticatoio. Ero troppo preso ad ascoltare le storie di altre persone, in quel momento, per preoccuparmi di un appuntamento mancato. Mi faccio coraggio e provo a chiederle un’altra uscita. Passano diversi minuti, poi una mezz’ora, quasi un’ora e io continuo ad avere il cuore in gola. Preferirei non iniziare la serata con un altro rifiuto. Ormai è quasi sera, dovrei cucinarmi qualcosa da mangiare ma, ancora una volta, non ho fame. Questa volta, almeno, posso dare la colpa al pranzo abbondante a casa di mamma. Finalmente una risposta. Anche a lei farebbe piacere vedermi domani sera. Perfetto, non potevo ricevere notizia migliore. Corro a farmi una carbonara mentre penso ad un posto per stupirla. 

22:05

Dopo cena propongo a Cecilia uno dei locali più chic della città e mi propongo di passarla a prendere in macchina. È così che si fa, no? Lei dice che non c’è bisogno e che preferirebbe un posto più tranquillo. Ecco, ho sbagliato di nuovo. Le propongo un posto che conosco. Ci andavo spesso qualche anno fa, è una birreria, un posto molto informale ma accogliente e, in effetti, mi chiedo perché non mi sia venuto in mente prima. È chiaro che non è una da ostriche e champagne. Lei dice che ci va spesso e che le piace l’idea. Ci accordiamo su un orario provvisorio e io corro a prepararmi per la serata. Cerco di risultare il più presentabile possibile e parto. Sono in macchina e spingo sull’acceleratore. L’appuntamento con cecilia mi emoziona e vorrei che il tempo andasse più veloce per arrivare presto a domani sera. Da quanto tempo non mi sentivo così? Forse troppo. Cerco di darmi un contegno, in fin dei conti è solo una conversazione. 

Arrivo piuttosto velocemente in zona ma questa volta non c’è nemmeno l’ombra di un parcheggio. L’ansia sale, non mi piace arrivare tardi agli appuntamenti. Giro per circa venti minuti per trovare un parcheggio ma l’unica cosa che riesco a trovare è un garage a pagamento. Preso dalla fretta, entro, mi informo sulle tariffe e sugli orari di chiusura. Il tipo all’ingresso mi informa che devo tornare a prenderla entro le due, non un minuto di più, non si fanno eccezioni. Mi dà in mano un bigliettino con i prezzi in base alla fascia oraria che sembra più il menù di un ristorante di lusso. Non ho alternativa, quindi lascio le chiavi sul cruscotto e guardo la mia macchina che sparisce, insieme al tipo dell’ingresso, in fondo ad una discesa buia. 

Affretto il passo per guadagnare tempo ma, guardando l’orologio, mi accorgo di essere in perfetto orario. In più mi accorgo solo ora di un messaggio di Amy che mi avvisa di essere in ritardo di qualche minuto. Poco male, avrò il tempo di ambientarmi fuori dall’enoteca. 

Mentre mi dirigo verso il locale, vedo in lontananza una faccia conosciuta. Possibile che sia già qui? Avvicinandomi mi accorgo che, in effetti, non si tratta di Amy ma di una mia vecchia compagna del liceo. Non la vedo da moltissimi anni oramai. Uscivamo spesso insieme ad altri ragazzi della nostra vecchia classe poi alcuni, come me, sono partiti per l’estero o per altre città e ci siamo persi di vista. Lei sembra notarmi ma è titubante. Io non ho voglia di ricordare i vecchi tempi andati stasera ma non so come sfuggire al suo sguardo e, senza volerlo, mi ritrovo a sorriderle. Lei sembra ricordarsi improvvisamente di me e mi viene incontro. Ci salutiamo ridendo e concordiamo sul fatto che sia passato davvero troppo tempo dall’ultima volta che ci siamo visti. Parliamo un po’ di vecchi amici con i quali lei sembra essere rimasta in contatto e sento una nota amara nella sua voce mentre mi dice che da quando sono partito sono del tutto scomparso. In effetti devo ammettere di non essere stato un buon amico. Preso dalle nuove conoscenze e dalle nuove esperienze che stavo facendo all’estero, avevo completamente dimenticato gli amici di vecchia data e, quando me ne sono reso conto, oramai non avevo più il coraggio di tornare sui miei passi. Ma non pensavo di essere l’unico ad essere uscito dai giochi. E un po’ mi rattrista il suo tacito rimprovero. Mi dice che le sembro diverso ma non specifica in che modo. Questo tuffo nel passato proprio non ci voleva. Forse mi vuole dire che vede che le sto nascondendo qualcosa? O forse che mi sono lasciato andare? Forse anche Amy penserà che sono troppo trasandato per i suoi gusti, avrei dovuto stirare la camicia che indosso. Mi chiede che cosa faccio ora, se lavoro. Cerco di glissare sulla domanda con scarsi risultati. Lei capisce che non ho voglia di parlarne e cambia argomento. È sempre stata una ragazza empatica e apprezzo il gesto ma, allo stesso tempo, mi vergogno un po’ perché so che ha capito. Mi chiede se sto aspettando qualcuno e le rispondo di sì, è un primo appuntamento con una ragazza conosciuta su un’app di incontri. Forse penserà che sono uno sfigato che non sa approcciarsi alle ragazze nel mondo reale ma almeno su questo le dovevo della sincerità. Ci scambiamo ancora qualche commento reciproco sul passato e alla fine ci salutiamo e lei mi fa promettere che mi sarei rifatto vivo anche con gli altri. È una promessa che non so se riuscirò a mantenere, posso affrontare solo una sfida alla volta, ma comunque mi sembra che valga la pena di provarci. 

Sono oramai le undici meno un quarto passate e di Amy ancora nessuna traccia. Inizio a pensare che non si presenterà quando, in lontananza, la vedo arrivare. Sembra molto elegante, porta un vestito nero e dei tacchi che mi sembrano vertiginosi. È molto bella, anche se un po’ mi mette in soggezione la sua andatura sicura. Iniziano le solite formalità: ci presentiamo, andiamo al bancone, prendiamo da bere, mi offro di pagare per entrambi e lei accenna un debole rifiuto ma poi mi ringrazia per la gentilezza. Ci sediamo ad un tavolino e iniziamo a parlare. Sembra una ragazza frizzante, piena di vita, tutto il contrario di me. Ma, stranamente, riesce a mettermi a mio agio, complice il fatto che lei è originaria della periferia di Manchester. È strano sentire qualcuno parlare con quell’accento qui, nella mia città. Lei mi dice che resterà in Italia solo per pochi giorni, è venuta a trovare un’amica che studia qui in Erasmus. Ha visitato già tutta la città e conosce diversi locali in cui ha passato le serate scorse. Stasera aveva voglia di passare una serata tranquilla, in compagnia. Lo dice ammiccando, lasciando intendere che la serata potrebbe proseguire. La cosa mi lusinga e mi inquieta al tempo stesso. Non passo una serata del genere da un bel po’ di tempo oramai e mi sento decisamente arrugginito. La serata passa in fretta, fra calici di vino e racconti della mia e della sua vita in Inghilterra. Prima che me ne renda conto arriva la mezzanotte, poi l’una e poi le due. Mi gira la testa, forse ho bevuto troppo. Ma mi sembra di essermi liberato di diverse inibizioni e mi piace che lei rida alle mie battute scadenti, anche se, forse, è colpa del vino. Quando mi ricordo della macchina oramai è troppo tardi. Non ho il tempo di preoccuparmene più di tanto perché lei mi si avvicina e mi dà un bacio. Io rimango spiazzato, non so nemmeno se sappia ancora baciare. Lei sembra non farci caso e mi chiede di accompagnarla all’appartamento che ha preso in affitto, è solo a dieci minuti di distanza. La accompagno, lei mi chiede di salire e io senza pensarci dico di sì. Mi rendo conto della situazione solo quando sto seduto sul letto della sua stanza a guardarmi intorno. Sembra che la valigia che sta ai piedi del letto sia scoppiata e che abbia sparso vestiti per tutta la camera. Di certo non è una ragazza molto ordinata. Ho una voglia matta di sistemare tutto, come faccio a casa mia, forse mi schiarirebbe i pensieri. Farei qualsiasi cosa piuttosto che starmene qui impalato. Vorrei tornare a casa ma, oramai, di prendere la macchina non se ne parla. Lei mi si avvicina e, ridendo, mi dice che sono un tipo strano. Non so perché non riesco a prenderlo come un complimento. Vedendo che rimango immobile mi chiede se ci sia qualcosa che non va, forse non mi piace abbastanza? Io cerco di giustificarmi dicendo di no, che mi piace molto e tento di trovare altre scuse ma l’unica cosa che riesco a dirle è che non me la sento di andare oltre. Lei sembra stranita e un po’ delusa. Qualcosa mi dice che l’ha preso come un affronto personale. Il suo sguardo mi fa sentire in colpa, come se l’avessi presa in giro e, in più, mi sento un codardo. Un colpo basso per la mia autostima. Appurato che la serata non avrebbe preso la piega sperata, Amy si stende a letto e dice che se voglio posso rimanere a dormire. Prima devo averle raccontato della macchina, così ora penserà che oltre ad essere un “tipo strano”, per usare un eufemismo, la sto pure sfruttando per avere dell’ospitalità. Ma sono troppo stanco per trovare una soluzione alternativa. Mi stendo e chiudo gli occhi. La testa continua a girare ma il sonno ha presto la meglio e, per fortuna, dopo poco mi addormento. 

Giovedì, 9:24

Apro gli occhi e ci metto qualche secondo per ricordare dove sono. Amy dorme ancora di fianco a me. Ho ancora sonno ma l’unica cosa che voglio è tornare a casa. La testa ora non mi gira più ma, in compenso, sembra che qualcuno ci abbia piazzato dentro un martello pneumatico. Ho ancora addosso i vestiti della sera prima, all’appello mancano solo le scarpe. Le trovo sul pavimento, in mezzo a pile di vestiti femminili. Forse dovrei andarmene di nascosto? O forse sarebbe meglio svegliarla per non fare la figura del codardo fino in fondo? Opto per la seconda opzione. Lei con voce assonnata mi saluta frettolosamente e mi dice di chiudere la porta, le chiavi sono sul tavolo in salotto. Dopodiché, si gira dall’altro lato e continua a dormire. Seguo le sue istruzioni, chiudo la porta, scendo le scale e finalmente riesco a tirare un sospiro di sollievo. Il mio unico pensiero è quello di buttarmi sul mio letto anche se, per farlo, dovrò prima affrontare un garagista che, con tutta probabilità, mi svuoterà il portafoglio.

15:18

Ho appena finito di mangiare e sto cercando in tutti i modi di non pensare a quello che è successo ieri. Mi riprometto di non mettermi mai più in una situazione del genere e giuro che non aprirò più quella maledetta app di incontri. Prima però, devo finire quello che ho iniziato. Stasera ho appuntamento con Cecilia. In più, ricordo i messaggi non letti di Lucrezia. Non voglio essere il tipo di persona che dopo un appuntamento andato male non lascia più traccia di sé. 

Nessun messaggio di Cecilia. In effetti, non c’era molto altro da dire, la conversazione si era conclusa con i nostri accordi su luogo e ora dell’appuntamento. 

Dunque, non mi resta che aprire la conversazione con Lucrezia. Ci sono un paio di messaggi non letti, piuttosto lunghi. Sono curioso. Dice che si scusa per essere scappata via così l’altro giorno, a volte si fa prendere dalla fretta quando si sente a disagio. In più, sa di non risultare molto simpatica all’inizio e dice di essersi resa conto di avermi messo in imbarazzo e cercando di rimediare si è fatta prendere dal panico e ha peggiorato le cose. Vorrebbe rimediare, le è piaciuto molto passare del tempo con me anche se è consapevole di non essere riuscita ad esternarlo. Sembra davvero mortificata e, leggendo giorno e orario dei messaggi, mi accorgo che li ha scritti la sera stessa del nostro appuntamento. Dice anche che non si è resa conto di essere andata via senza pagare, che non è il tipo da farsi sfuggire una cosa del genere. Vorrebbe offrirmi un caffè uno di questi giorni. Sempre se posso perdonarla per le sue uscite infelici. Posso? In fondo le sue scuse sembrano sincere ma non so se me la sento di ripetere l’uscita. Le rispondo, scusandomi a mia volta per non aver letto i suoi messaggi per giorni. Le dico che potrei avere tempo per un caffè venerdì pomeriggio ma lascio spazio ad una conferma futura. Non sono ancora convinto di volerlo fare. Ero rimasto affascinato da lei all’inizio ma in questo momento forse il suo atteggiamento non mi farebbe del bene. E se si fosse comportata così solo perché era nervosa? È possibile, ma non so se ho voglia di scoprirlo. La conversazione si conclude con poche risposte brevi e dirette: lei dice di essere libera l’indomani pomeriggio e io le prometto di confermarle l’appuntamento il prima possibile. 

La fine di questa conversazione mi lascia, ancora una volta, solo con me stesso. Sento che, ora che ho appurato di essere ancora in grado di passare una serata in compagnia, è il momento di rallentare. Stasera non voglio stupire, non voglio esagerare, e nemmeno far credere a Cecilia di essere diverso da quello che sono. Stasera voglio lasciarmi dietro la pressione di mostrami come una persona migliore e voglio semplicemente raccontarle di me. 

21:05

In un attimo sono pronto per uscire, per una volta non ho ripensamenti sui vestiti che indosso o sul mio aspetto. Il viaggio in macchina passa velocemente, la strada la conosco a memoria, l’ho percorsa infinite volte e, anche se è passato molto tempo dall’ultima, la memoria ancora non mi tradisce. Arrivo di fronte alla birreria. Per una volta non mi importa se sono il primo ad arrivare o meno, non guardo nemmeno l’orologio, o il cellulare. Devo aspettarla solo pochi minuti. La vedo arrivare ed è proprio come immaginavo che fosse, sembra non avere nulla fuori posto. Siamo entrambi un po’ impacciati nel presentarci e la cosa mi piace. Ci sediamo ad un tavolo, ordiniamo una birra e, superato l’imbarazzo iniziale, iniziamo a parlare. La conversazione scorre liscia, sembra facile parlare con lei. Mi piace che sorrida timidamente. Per la prima volta, sono io a condurre la conversazione anche se le redini le tiene lei ed è lei a dare una direzione ai nostri scambi di battute. Senza nessuna resistenza, né da parte sua e nemmeno da parte mia, mi trovo a parlare ancora una volta della mia vita passata ma questa sera lo faccio in modo diverso. Le parole sembrano uscire da sole dalla mia bocca, senza freni. È chiaro ad entrambi che parlo di un passato che non esiste più e lei fa lo stesso. È lei stessa a chiedermi del motivo di questo “brutto periodo” come l’avevo chiamato. Mi è stranamente facile parlargliene. Le dico che dopo il liceo, ho deciso di buttarmi in una nuova esperienza. Ero giovane e avevo paura, sì, ma avevo bisogno di fare qualcosa che potesse, nel bene o nel male, cambiare la mia vita. E alla fine ci sono riuscito. Mi sono fatto una vita all’estero, mi sono ambientato bene in una patria che non era la mia. A volte sentivo la mancanza della mia famiglia, delle mie abitudini passate e in rari casi, la malinconia aveva il sopravvento. Ma tutto ciò durava poco, il tempo di un espresso fatto con la moka che mi aveva regalato mio fratello prima di partire, ed ero di nuovo pronto ad affrontare un altro esame o a conoscere persone nuove. La mia vita è andata avanti così per diversi anni fra qualche aereo che mi riportava in patria e qualcun altro che mi riportava nel posto che allora chiamavo casa. Mi sono laureato e ho trovato subito lavoro. Mi sembrava che nessuno potesse fermarmi e io, di certo, non avevo intenzione di prendermi nessuna pausa. All’inizio il lavoro non mi pesava. Mi piaceva imparare cose nuove e, in più, il ruolo che ricoprivo mi portava a viaggiare spesso. Imparavo in fretta e nei primi mesi ricevetti diverse promozioni. Nonostante questo, ogni tanto mi sembrava di sentirmi come schiacciato da qualcosa di più grande di me. Mi sentivo parte di un sistema che non mi apparteneva. Cercavo di non pensarci e di andare avanti. Ma ogni settimana che passava portava con sé nuove sorprese poco gradite. Il capo mi mandava spesso in posti nuovi. Ero bravo nel mio lavoro e i colleghi che lavoravano in azienda da più tempo iniziavano a risentirsi per via dei premi che spettavano a me e non a loro. All’inizio mi sembravano tutti così gentili. Solo col tempo ho iniziato a rendermi conto che molti di loro avrebbero fatto di tutto pur di farmi cadere, come se volessero rimettermi al mio posto, come se avessi qualcosa che non mi spettava. La competitività divorava un po’ tutti lì dentro, compreso il capo, che stava cercando di sfruttare solo il mio potenziale. Per lui ciò che contava veramente è che gli portassi dei risultati che lo portassero in vantaggio rispetto ad altre aziende del settore. Diversi colleghi, ridendo, mi dicevano che era un mondo spietato e che dovevo imparare a stare al gioco. Piano, piano, mi veniva chiesto sempre più spesso di mentire ai clienti. Si partiva con delle bugie piccole e nessuno sembrava accorgersene. I miei soci, quelli che viaggiavano con me, non si sono mai fatti problemi a mentire, anzi, sembrava quasi che facessero a gara a chi riusciva a prendere in giro meglio i propri clienti. Senza farsi scoprire, ovviamente. Il capo stesso ci chiedeva di farlo. Io a volte mi opponevo ma sapevo di non poter tirare troppo la corda. In molti, alle mie obiezioni, mi avevano lasciato intendere che lì dentro non contavo nulla e che di giovani come me ce n’erano a migliaia pronti a prendere il mio posto. Man mano che il tempo passava, la situazione degenerava sempre di più. Anche quando ero a casa, non riuscivo a staccare dal lavoro. Continuavo a pensare agli appuntamenti che mi attendevano e mi sentivo impotente e codardo perché non avevo il coraggio di fare nulla per cambiare la situazione. In più, mi sentivo terribilmente in colpa perché acconsentivo a qualcosa che andava contro ogni mio principio. La mia autostima era a zero e senso di colpa e oppressione sono state le mie compagne per molte notti insonni. Da lì, sono incominciati gli attacchi di panico che cercavo di nascondere a colleghi e clienti. Finché un giorno, ho deciso che non ne valeva più la pena. All’ennesima enorme menzogna, ho deciso di non salire sull’aereo che mi avrebbe portato all’incontro con il mio cliente, consapevole delle ripercussioni. Una volta tornato in ufficio, mi è bastato firmare un foglio e finalmente mi sono sentito sollevato di un peso. Ma i problemi non sono finiti. Ho fatto fatica a trovare un altro impiego che rispecchiasse il mio percorso di studi. Il senso di colpa non mi abbandonava e nemmeno l’impressione di non valere nulla. Ero entrato in una spirale di negatività che, tutt’oggi, non mi abbandona. La decisione di tornare a casa non è stata facile. L’avevo presa come una sconfitta personale, come se la mia felicità dipendesse esclusivamente da un luogo geografico. Mi mancava terribilmente la mia famiglia e, per questo, ho deciso di tornare sui miei passi. Avevo bisogno di alcune facce amiche intorno, di tornare alla routine che avevo così tanto odiato da adolescente ma che mi mancava altrettanto ora che non ce l’avevo più. Mi spezzava il cuore vedere mamma che invecchiava da lontano. Quando mio fratello si era laureato avevo potuto vederlo con la corona d’alloro solo in foto, un impegno di lavoro mi teneva lontano da casa. Lui mi aveva perdonato ma io non riuscivo a farlo. Se avessi saputo fin dall’inizio a cosa sarei andato incontro, avrei preso fin da subito la decisione di non salire più su nessun aereo, così avrei potuto sentire con le mie orecchie mentre lo proclamavano dottore. Ci sono ancora tante cose da sistemare nella mia vita, le dico. Ma ci sto provando. Con calma, ci sto provando.

-Sai, per me non è più facile uscire, stare in mezzo alla gente. Ma stasera sono qui e non lo rimpiango affatto.

Lei sorride e non sembra per niente scossa dal fiume di parole che le ho rovesciato addosso. Mi guarda e mi dice che capisce e, per la prima volta, non ho dubbi. Mi capisce davvero. Dice che è capitato anche a lei in passato di sentirsi così. Schiacciata, inerme. Di non riconoscersi più. Dice che è difficile e lei lo sa bene. Ma dice anche che devo avere fiducia, che l’ansia, la depressione o i “brutti periodi” come li chiamiamo perché ci facciano meno paura, sono dei mostri che, purtroppo, fanno visita a più persone di quante pensiamo e che per iniziare a sconfiggerli, il primo passo è quello di sdoganarli del tutto, di non avere paura di ammettere a sé stessi e agli altri che un problema esiste ed è concreto. Io, più che dalle sue parole, sono scioccato dalla semplicità con la quale parla di argomenti che per mesi non hanno fatto altro che schiacciarmi. Ogni parola che pensavo di proferire a riguardo sembrava un macigno e ora guardo lei mentre le mette tutte in fila con una facilità disarmante. Penso che lei abbia capito esattamente quello di cui ho bisogno. Mentre la ascolto parlare, mi sento liberato da un peso enorme. Mi dice che tornerà tutto come prima, che devo fidarmi di lei. E mi fido. Mentre usciamo dal locale le dico tutto quello che mi passa per la testa: lei è stata una ventata di aria fresca nella mia vita che era ferma da ormai troppo tempo. Mi piacerebbe rivederla. Lei sembra incupirsi un po’ mentre mi dice che sa come ci si sente ad appoggiarsi a qualcuno che sembra capire. Però non vuole che pensi ad una relazione. Con gentilezza, mi dice che forse non sono quello che cerca. Ma se ho bisogno di fare due chiacchiere, so dove trovarla. Anche se mi sorride, sembra che le costi molto dire queste parole, si vede che ha paura di ferirmi. Io, però, la sollevo da qualsiasi responsabilità. Ci salutiamo e mentre torno a casa penso che forse avevo solo bisogno di qualcuno con cui non fosse necessario fingere di essere migliore. Qualcuno con cui i miei difetti e i miei problemi rimanessero solo difetti e problemi e non diventassero dei buchi neri. Cerco le chiavi di casa in tasca e tiro un sospiro di sollievo. 

Di certo avrò qualcosa da raccontare a mio fratello.

Mi chiamo Alessia Marinoni, sono nata una mattina d’estate di venticinque anni fa nell’hinterland milanese e sono una studentessa di mediazione linguistica. Già da qualche anno a questa parte, Bologna mi ha adottata diventando la mia seconda casa e dandomi l’opportunità di fare esperienze del tutto nuove come condividere una casa con altre cinque persone della mia età e dedicarmi alle attività che amo: la scrittura e la traduzione. Mi piace ascoltare ciò che gli altri hanno da condividere e ponderare le diverse sfumature che possono assumere le parole in contesti diversi fra loro, anche a livello culturale. Per questo, in un futuro non molto lontano, mi piacerebbe fondere quante più attività possibili fra ascolto, traduzione e scrittura e farne un lavoro.

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