Saharawi – Promesse da mantenere in una terra divisa in due
di Claudio Cantù
Gran parte dei conflitti scaturiscono da rivendicazioni territoriali. L’invasione da parte del Marocco del Sahara Occidentale del lontano 1975, con la cosiddetta “Marcia Verde” che vide centinaia di migliaia di coloni marocchini seguire l’esercito per prendere possesso del Sahara Occidentale, risponde a politiche di conquista e sfruttamento territoriale. Re Hassan II giustificava e incitava l’invasione a tutela dell’integrità territoriale del presunto Regno del grande Marocco con l’annessione di parte dell’Algeria e del Sahara Occidentale. In realtà la conquista del Sahara Occidentale ha portato ad enormi benefici economici e rappresentato una straordinaria operazione di sfruttamento di risorse extra territoriali. Con l’invasione il Marocco ha preso possesso e sfruttato gli enormi giacimenti di fosfati nel nord del Sahara Occidentale (1,6 milioni di tonnellate la media del triennio 2018-2020) e anni dopo aver aggredito i territori sahrawi ha incrementato lo sfruttamento delle coste e delle risorse ittiche, portando al 17% l’incidenza dei proventi dalla pesca nel PIL (dati da CESE Consiglio economico, sociale e ambientale del Marocco). Attualmente sono in costruzione nei territori occupati impianti per la produzione di energia eolica e sono stati ceduti a compagnie straniere i diritti di estrazione di idrocarburi, come già descritto nella seconda uscita di questo bollettino. Anche la violazione del cessate il fuoco il 13 novembre di due anni fa è avvenuta per esigenze di conquista territoriale. Fu un atto volto a garantire uno spazio di transito alle merci illegalmente prodotte nei territori occupati e sfruttati da Rabat. L’esercito del Regno del Marocco ha forzato la frontiera a Guerguerat e invaso la zona cuscinetto prevista dagli accordi del cessate il fuoco del 1991.
Lo sfruttamento delle risorse ambientali, la prevaricazione e la sopraffazione hanno il sopravvento sui diritti umani, sulle legittime aspirazioni alla libertà di un popolo. Se le guerre avvengono per conquistare territori e domini, la difesa degli stessi e delle popolazioni vittime non può avvenire dalle retrovie, ed è efficace se avviene nel territorio conteso. I Saharawi fuggiti dai territori occupati sono in gran parte nei campi profughi, molti i nomadi che dal cessate il fuoco (1991) sono sopravvissuti nei territori liberati dal Fronte Polisario, cui quel “muro della vergogna” di circa 2.800 km impedisce di accedere alle risorse presenti nei territori occupati dal Marocco.
Queste popolazioni hanno richiesto aiuto e sostegno e le autorità della RASD (rep. Araba Saharawi Democratica) le hanno riportate al movimento di solidarietà internazionale. Ci è stato chiesto di intervenire in questo contesto e da anni ce ne facciamo carico destinando parte delle risorse messe a disposizione dalla regione Emilia Romagna, attraverso i suoi bandi di cooperazione internazionale, a progetti di aiuto alimentare, sanitario ai bambini delle scuole nel deserto. Se la difesa del territorio e della sua popolazione non può essere fatto solo dalle retrovie è quindi evidente quanto sia indispensabile sostenere le popolazioni in situazioni più critiche ed esposte, come i nomadi del deserto del Sahara Occidentale.
La rottura del cessate il fuoco ha segnato un passaggio tragicamente importante per queste popolazioni. Dopo aver vissuto in un territorio altamente a rischio a causa della presenza di milioni di mine (5/7 milioni secondo le stime) con incidenti gravi ogni mese, dal novembre 2020 queste zone sono diventate vero e proprio territorio di guerra. Non si tratta di una guerra di contatto o di posizione, ma a fronte degli attacchi delle forze del Polisario al “muro della vergogna” l’esercito del Marocco colpisce l’entroterra con droni che tengono sotto minaccia l’intero territorio; i primi droni sono stati consegnati dalla Turchia nel 2020, mentre l’appoggio tecnologico-militare è stato fornito da Israele. Gli attacchi di queste armi sono letali e colpiscono con cinica precisione veicoli civili e camion (a novembre ‘21 anche un convoglio di camion algerini è stato colpito causando la morte di tre autisti). Parte della popolazione è evacuata nei campi profughi di Tindouf, aprendo un altro fronte critico per il sostegno e l’aiuto al popolo Saharawi. L’associazionismo solidale e le organizzazioni di cooperazione internazionale sono tenute in questo momento a ribadire la fondamentale importanza degli interventi di solidarietà e aiuto alle popolazioni dei territori liberati del Sahara Occidentale. Rete Tifariti, di cui fanno parte le organizzazioni che sostengono progetti nei territori, ha rimodulato i progetti esistenti, è stata costretta ad operare nei campi profughi per l’abbandono delle scuole in territorio di guerra ma è impegnata a leggere i bisogni di questi nuovi sfollati, a sostenerli, a trovare la forme di aiuto che abbiamo come obbiettivo il loro rientro nelle terre di origine. A noi appartenenti a Rete Tifariti restano impresse le parole del vice-comandante la regione di Tifariti alla nostra prima missione: “Un territorio non è libero con il solo uso delle armi ma lo è quando la sua popolazione se ne riappropria”. Per noi è stata la condivisione di un principio e contiamo di mantenervi fede.
Oltre la sabbia e il vento è il magazine di informazione sul popolo saharawi realizzato da
CISP – Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli
Nexus Emilia Romagna
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in collaborazione con
Instant Documentary APS
Regione Emilia-Romagna