…e il tempo crea eroi – CdMF
“Cronache dal mondo fuori”, perché c’è ancora un mondo fuori, perché c’è sempre un mondo fuori!
La serie di racconti, disponibile anche in edizione audio per non vedenti, nasce dalle storie di chi ha voluto condividere con noi la propria esperienza dei giorni in isolamento nel 2020, per via dell’epidemia dovuta al Covid-19. Per ricevere i racconti direttamente nella tua email iscriviti alla nostra mailing list.
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Ascolta “06 Una realtà che non è il tuo mondo” su Spreaker.Voce di Stella Dalla Costa
Una realtà che non è il tuo mondo.
di Lorenzo Torcello
Il viaggio oggi è più lungo e mi vien voglia di distrarmi. C’è meno traffico, corse ridotte. Mancano poche fermate e la maggior parte di esse sono vuote, quindi l’autista sfreccia via. Arriva comunque puntuale a ogni fermata, neanche in anticipo. Un sistema perfetto che pare non preveda imprevisto. Sembra una realtà surreale.
Dal mio sedile alto e vicino alle porte d’uscita – scelta inutile dato che siamo in cinque, autista compreso – riesco a sbirciare il cellulare luminosissimo della ragazza davanti a me e purtroppo sento anche la vocina stridula che ascolta lei e impone a noi. Instagram, credo. Il mezzobusto ripreso di una giovane donna con caschetto scuro e rossetto glitterato fornisce indicazioni su come preparare il dessert perfetto per concludere una cena con il proprio fidanzato – fidanzatino nel suo vocabolario – o da servirsi per piacer proprio in compagnia del gatto – o Fuffi, come il suo, tanto per avere un profilo discreto e poco banale. Non posso credere che questa tipa non riesca a fare di meglio.
Ma preparalo per te ‘sto ciambellone e passa la ricetta senza troppe storie… alzo gli occhi al soffitto tremolante dell’autobus e mi viene da ridere. Non sono social io. Non che ne abbia disprezzo, ma dopo un po’ mi annoio.
E mi viene ancora più da ridere quando la mia compagna di viaggio presa dall’influencer che parla del suo fidanzatino, accarezzando la povera bestiola dallo sguardo sedato, Fuffi appunto, si dimentica di prenotare la fermata e va nel panico non sapendo se correre verso l’autista o arrendersi al suo destino e aspettare in piedi di fronte all’uscita la prossima apertura delle porte. Opta per la seconda scelta, ma anche stavolta non resiste, riapre la borsa e illumina il volto con la luce bianca e abbagliante. Un film dell’orrore. Fuffi dove scappi! si sente. Non posso trattenermi più e scoppio a ridere.
Non ho la mascherina, ma rintontita com’è non distoglie lo sguardo dallo schermo e non si accorge della mia reazione. Pare non sia consapevole del mondo che le gira attorno e che, come ogni sera, ultimamente è fermo, quasi fermo.
“Le strade silenziose, deserte e silenziose…” ogni volta che guardo dal finestrino nella mia mente canticchia una canzone di Modugno. Ma non sono neanche in vena di ascoltare musica. Ultimamente poi, dopo quella chiamata da ‘Ospedale Lavoro’, se posso, tengo lontano il cellulare.
‘Da domani cambi reparto.’
Cosa?, ho pensato. Quello è stato il colpo più tosto, lo spostamento da una realtà, la mia, per essere catapultati in un’altra. Dall’oggi al domani.
Come essere in guerra, ci viene detto di fare quello e tu lo fai. Vai dove c’è bisogno. Personalmente, non sono una che si abbatte mai, ma non è bello. Non ho famiglia, però c’è la paura.
Non sono ammessi parenti. Sono nel reparto di terapia intensiva, dove ci sono i pazienti stabilizzati più critici, per la maggior parte intubati. Poi vengono i medici e contattano loro i familiari tramite cellulare. È una realtà che non è il tuo mondo, mi dico. Indago senza capirci davvero molto, come chiunque ora, quanti e quali cambiamenti in corso d’opera siano necessari. Devi ribaltare il sistema, trovare personale. Chi lavora in terapia intensiva fa doppi turni e non è un bel clima, non è una bella situazione, mancano ventilatori polmonari, posti letto per tutti, devi creare percorsi specifici… Spero proprio che finisca presto.
L’autobus svolta, e guarda lì… un ritrovo di cretini che vanno in giro. Tre uomini maturi, sostano lungo il marciapiede, più vicini di quanto non dovrebbero, chiacchierando con atteggiamenti sommessi. ‘Gradite anche dei biscottini al burro insieme al tè signorine?’ mi verrebbe da chiedergli ‘…perché una ragazza con un gatto di nome Fuffi può fornire deliziose ricette’, rido di nuovo con me stessa, coprendo però l’espressione divertita. Statevene a casa, ma davvero! È un vero problema in realtà, si rischia di intasare il sistema sanitario. Altroché cancelletto Iostoacasa, o hashtag, quello che è… vabbè può essere che anche loro non abbiano Facebook, penso, ma neanche l’encefalo. Trattengo le risate inutilmente e poi mi rimane addosso un sorrisetto da ebete. C’è davvero da star attenti, può colpire tutti e i primi ad essere esposti siamo noi, infermieri e medici. Anche io mi spavento perché mi posso contagiare. E se non ci fossimo noi come faremmo?
I ragazzi stanno lì sempre, siamo tutti andati a dare una mano ai colleghi che hanno bisogno. I capisala, a momenti, dormono lì dentro, nei reparti. Magari non sono le stesse pratiche cliniche che eseguo sempre, ma cerchiamo di aiutarci e lavorare senza sosta. Di fare tutto il possibile. Non conosco più tanti degli infermieri e dei dottori durante il turno, infatti li vedo a malapena negli occhi. E i loro sguardi riflettono una realtà diversa. Mascherine, camici bianchi, un paio di guanti, ma anche due, tre, tute repellenti e caschetti in testa. Una realtà che non è il tuo mondo, penso spesso. Sembriamo omini mascherati con una missione ben precisa, tutti coordinati nella confusione di chi non sa cosa potrà succedere domani. Conosco i miei turni per i prossimi giorni, ma dopo? Sei nell’imprevisto.
“Eroine e eroi in bianco”. Ma, a me, di vivere in un mondo tirato su da persone preziose e speciali con compiti eccezionali, francamente, non interessa. Non voglio essere un’eroina, ma lavoro come se lo fossi perché vorrei tanto tornare al mondo che era prima.
E dopo tutto ciò, sai cosa?
Apro gli occhi con l’espressione di chi ha avuto un’idea semplice e geniale… Quasi quasi mi metto a fare la pasticcera! Bingo!
Prenoto la fermata e scendo dall’autobus. I padiglioni non lontani dell’ospedale mi sembrano immensi stasera. Cammino lentamente mentre fumo l’ultima sigaretta della giornata, dopodiché sarà il caos, sarà la confusione. Non mi aspettano saluti in portineria, sorrisi dagli ausiliari amici di chiacchiera, né avrò modo di bere un caffè. Alzerò il passo per dirigermi a cambiarmi rispettando ogni precauzione indicata. Tiro di sigaretta. Ci vuole tempo e attenzione, più di prima. Percorro con la mente il tragitto dei corridoi, potrebbero esserci comunicazioni o qualche imprevisto prima che inizi. I primi giorni ho accusato a fine turno la differenza di tutto e la stanchezza. Adesso a volte sento i piedi fermi e le spalle pesanti prima che cominci. Non è il mio fisico, non è il mio mondo, ma è tutto davanti ai miei occhi e nient’altro è concesso. Sempre attenta a ogni movimento e con responsabilità professionale per ogni paziente a me affidato. Zero pause, non c’è nemmeno tempo di fermarsi a pensare, andare avanti e basta. E il badge? Non dimenticare di strisciarlo. Mi agito e faccio un altro tiro, la sigaretta è finita. Il ritmo del metronomo di un pianista velocissimo sarà quello dei miei passi e del mio cuore, che già ora ha i battiti sempre più accelerati. Mantenere la lucidità giorno dopo giorno con pazienti critici, in uno stato d’emergenza. Allarme, paura, reattività forza. Faccio i conti con tutto questo, ci passo attraverso e dovrò uscirne incolume per tornarci domani. Un minuto e dovrò varcare la soglia. Sono quasi pronta, sono agitata. Stringo i pugni. Forti! Come chi supererà questo momento, come i medici e i colleghi.
Ok, sono pronta! Entro. Inizio.
Purtroppo la realtà di molti di noi operatori sanitari… Ogni giorno… Ad ogni turno… Lettura scorrevole… Sembrava di trascorrere con la protagonista gli ultimi istanti prima di entrare al lavoro…. Complimenti