[il filo di sabbia] 04. Blu ovvero del volare al tramonto su un gonfiabile magico

Giorno 10 – 04/10/2022

Blu. Il cielo è tornato ad essere blu. Ne guardo una striscia tra gli alloggi del protocollo, al mattino, prima di immergermi nella luce. Il sole è tornato ad essere rovente.

La ragazza blu guarda i suoi compagni seduti che lavorano la ceramica. Dal blu della sua melfa escono solo gli occhi. Una fessura strettissima, dalla quale osserva il mondo. Non riesco a immaginare nient’altro, è solo occhi e blu. Un blu cobalto, intenso, profondo. Per me è la ragazza blu. La inquadro di profilo, a fuoco sul margine dell’inquadratura, il laboratorio è sfuocato. I bambini sono macchie di colore animate sullo sfondo. Cerco il suo mondo blu.
Il laboratorio di ceramica dell’associazione El Ouali di Bologna, nella wilaya di Smara, è gestito da Mohammed e da Rais, con loro diversi educatori ed educatrici accolgono bambini, disabili e non, in gruppi misti, per lavorare insieme la ceramica. Il tempo scorre tra i colori. Il vociare, le risa, i rumori, corroborano dopo i giorni sospesi. Penso a Khadija, la immagino sorridente, tra qualche mese, in un posto così, a sperimentare la gioia. Penso al suo tempo sospeso che ricomincia a scorrere. Penso all’acqua, a quante gocce nel deserto ci sono volute per impastare la felicità di questi bambini. Penso alla vita, al suo spettacolo, Rigenerarsi ogni giorno davanti ai miei occhi. Ancora mi stupisco che tutto questo è per me. Dovremmo farlo tutti, ogni giorno, almeno per un attimo. Lo stupore, ti fa stare bene.

Nel pomeriggio abbiamo incontrato Zahura, che ci ha riportato per un attimo con la testa tra le famiglie incontrate ieri. Perfezioneranno il questionario e, con la partecipazione di 29 donne saharawi, lo somministreranno a tutti quelli che arrivano dalla guerra in tutte le wilāyāt. È necessario per riuscire a rendere sostenibile la loro presenza nei campi. Lei pensa che non si adatteranno facilmente e che, appena possibile, vorranno tornare nei territori liberati. La vita lì è molto diversa. C’è l’acqua, il verde, e il loro stile di vita è più simile a quello nomade, dei beduini. Zahura ha un carattere pratico e concreto, potrebbe a tratti sembrare disillusa, e forse lo è, ma il suo modo di pensare è attivo, vive il presente trasmette sicurezza. Nei campi spesso hai la sensazione che questo popolo viva in attesa, come proteso verso la risoluzione della propria causa, resiste ad una effettiva stanzialità. Quando incontri persone come lei, però, ti rendi conto che agiscono sul presente molto più a fondo di quanto emerga in superficie. Che qui e adesso è, a tutti gli effetti, una priorità. Che sotto gli ideali e gli obiettivi di autodeterminazione hanno costruito l’oggi con la loro cultura e rifondato la loro società.

Il tramonto tinge finalmente il cielo. Mentre riposo su una panchina lo intuisco, dietro il muro di recinzione del protocollo, “che in cima ha cocci aguzzi di bottiglia”. Ecco a cosa serve una poesia. Arriva quando non te lo aspetti, quando pensi di averla dimenticata. E ti dà un senso. Interiore. Ti collega col mondo, ti ci scioglie dentro. (TV)

Giorno 11 – 05/10/2022

Yusuf avrà poco più di 15 anni. Ha lo sguardo da bambino ma si atteggia da grande. Vuole offrirci il tè. Ci invita nel retro del negozio di abbigliamento dove lavora, al mercato di Smara. Ha una famiglia in Italia, che lo ospita l’estate. Lì chiama mamma e papà, proprio come i suoi veri genitori.
Sono con Claudio e Marina, che è arrivata ieri sera con Giulia. Sono rimaste bloccate ad Algeri 4 giorni perché l’aereo non poteva atterrare a Tindouf.
Mi sono chiesto tante volte come sarebbe stato se la missione dell’ONU MINURSO avesse mantenuto i suoi obiettivi. Ragazzi come Yusuf non sarebbero venuti in Italia, noi non avremmo mercati da visitare, campi da visitare, amici da ritrovare; non avrei mai conosciuto Yusuf, ma lui avrebbe avuto una casa nella sua terra. Magari sul mare, tra le palme e i campi coltivati, immersa nel verde e con la vista che si perde nell’orizzonte azzurro dell’oceano. Con l’odore della salsedine, quando tira vento, invece della sabbia tra i denti. Con il cielo sempre turchese e senza sospensioni del tempo. Un luogo sul pianeta Terra, come tutti noi, e non in una galassia lontana. Ma oggi il cielo è turchese anche su Smara. E il tempo si potrebbe sospendere anche sul mare. In fondo io ne so qualcosa. E in fondo le cose sono andate così. Il referendum che le Nazioni Unite devono organizzare per decretare la territorialità del Sahara Occidentale non si è ancora fatto, dal 1991.
(tempo da perdere e tempo da guadagnare, tempo sospeso e tempo che scorre)
I francesi continuano a mettere il veto sulle mozioni della missione inficiando, di fatto, il suo svolgimento. Questo perché, perderebbero ingenti capitali investiti nell’area controllata e rivendicata dal Marocco. Per questo il Marocco e il Polisario sono tornati alle armi dopo una tregua cominciata proprio con la MINURSO e finita nel 2020.
Ed è per questo incrocio con la Storia, che la mia storia incrocia quella di Yusuf e del suo tè. È per questo che ho amici da rivedere nel mezzo dell’hammada, campi e mercati da visitare, tempo da perdere e tempo da guadagnare… ma, per quanto possa pensare che tutto questo fa parte di me, intimamente, per quanto possa esserci affezionato, lo darei via immediatamente, in cambio della libertà, per questo popolo, di vivere nella propria terra.

Al pomeriggio partiamo per Dajla, una wilaya lontana circa 2 ore. Ci accompagna una scorta armata del Polisario. Ad un certo punto il paesaggio cambia repentinamente. La sabbia si fa più rossa e in superficie affiora una polvere nera. È ferro. Ci sono alcune dune e qualche canyon in lontananza.
La wilaya ci aspetta, immersa in un tramonto dorato. Nel cortile del protocollo, poi, vedo affiorare, lentamente, le stelle. Per la prima volta sono così tante a splendere in un cielo limpido. Dajla, credo che andremo d’accordo. (TV)

Giorno 12 – 06/10/2022

Il gonfiabile sembra un carillon. Rosso e giallo, in una spianata di roccia e sabbia, suona nell’aria tersa del tramonto. I bambini aspettano il loro turno in file improvvisate. Attorno a me si forma sempre un capannello. Incuriositi dalla telecamera, si mostrano davanti all’obiettivo, solitamente facendo con le dita il gesto della vittoria. Sahara libre. Hanno confidenza con gli stranieri. Salutano in spagnolo, ti chiedono da dove vieni e vogliono essere fotografati. Io, quando posso, faccio un gioco. Gli faccio indossare le cuffie e aspetto la loro reazione nel momento in cui sentono il suono arrivare dal microfono.
Stamattina abbiamo visitato le scuole di Dajla nelle quali Cisp e Rete Tifariti svolgono dei programmi alimentari. Lì non abbiamo giocato. Seguivano con attenzione gli ordini degli insegnanti, sia in classe che fuori, mentre si mettevano in fila ordinatamente e, al suono di una canzone del gruppo ‘Estrella Polisario’, ciascuno ritirava la propria merenda. Ma stasera è davvero impossibile tenerli a bada e allora, dai, almeno giochiamo.
C’è chi si sfila le cuffie d’un colpo, con il volto terrorizzato, c’è chi ride, chi si stupisce e piano piano ci prende gusto e dopo un po’ si stabilisce la confidenza giusta per dirgli: “basta, ora devo lavorare.” So già che, dopo un po’, torneranno, alla spicciolata, portando degli amici, per chiedermi di far giocare anche loro. Poco male, è divertente e non sono in una situazione particolarmente stressante. Devo solo fare qualche inquadratura di questa inaugurazione del parco giochi. E poi mi piace interagire con loro in questo modo. È un gesto banale, in fondo, ma quel filo della cuffia ci mette in connessione e ci fa stare vicini, con naturalezza.
I bambini, nei campi, vanno quasi tutti a scuola, principalmente in istituti laici gestiti dai saharawi e sostenuti dalla cooperazione. Vivono il loro spazio in famiglia con molta libertà e, quando sono in giro, li vedi a gruppetti che giocano. La wilaya può sembrare un immenso cortile di paese, nel quale andare in giro liberi a calciare un pallone, spingersi, rincorrersi, saltare…
I bambini nei campi hanno problemi di origine alimentare dovuti alla qualità del cibo disponibile, hanno la fluorosi, per via dell’acqua che bevono, possono sembrare molto più piccoli della loro età e avere difficoltà a reperire vestiti, giochi, colorì, quaderni, fogli di carta, penne e matite.
I bambini, nei campi, sono come tutti i bambini del mondo. Si abbracciano, si spingono, gridano, sono curiosi, non stanno mai fermi, sono capaci di inventarsi un gioco dal nulla e, i più fortunati, hanno lo zainetto di Frozen o di Spiderman. I bambini nei campi sono i figli delle nuvole, sempre al vento, sotto il sole, ricoperti di sabbia, aspettano anche loro, come tutti i bambini, di trovare un posto nel mondo. I bambini, stasera, scivolano e saltano sul gonfiabile. Sembra che, da un momento all’altro, possa prendere il volo, come una buffa mongolfiera. Con il suo carico di voci allontanarsi nel cielo, fino a diventare un puntino lontano. Immagino il segno del vuoto lasciato per terra, sulla spianata, il silenzio, lo sguardo incredulo di tutti, il vento.
Al crepuscolo il gonfiabile è afflosciato, la musica è finita e, lentamente, la spianata si svuota. I bambini e gli adulti vanno via a piccoli gruppi. Un altro giorno nei campi sta per finire. Stanotte si vede la luna, luminosa, quasi piena, ma il cielo è di nuovo velato. Verso mezzanotte si alza un vento molesto. Porta sabbia. Di nuovo. E ancora. Chissà che domani non ci si svegli nuovamente in quel pianeta lontano. Chissà se stanotte qualche bambino, come me, sognerà di volare, al tramonto, su quel gonfiabile magico. (TV)

[continua]

“Il filo di sabbia” è l’incrocio di storie di alcune persone che, per diversi motivi, si trovano a vivere nei campi profughi saharawi. Che sia per un breve periodo o per tutta la vita, devono misurarsi con un luogo unico, in un pezzo di deserto tra i più duri al mondo. Alcuni protagonisti li abbiamo già presentati, altri  li presenteremo strada facendo: mentre il filo si dipana, continua il nostro viaggio.

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